I Paradisi Fiscali e l’Italia

I paradisi fiscali sono Paesi dove la tassazione dei profitti aziendali o dei risparmi privati risulta più bassa e spesso le norme tendono ad attrarre i capitali dall’estero, per poi occultarli.
Il trasferimento delle sedi aziendali – e dei relativi profitti – in Paesi a tassazione più bassa rispetto a quella dei Paese di origine, può avvenire poiché le regole che governano il circolo di denaro tra Paesi risultano spesso obsolete, in particolare per modelli di business innovativi; vi sono inoltre pochi controlli efficaci in ambito internazionale.
In questi casi, si parla di elusione fiscale e non di evasione fiscale. L’evasione fiscale si concretizza in un comportamento che mira direttamente ad occultare fatturato e profitti per ridurre il prelievo fiscale; l’elusione fiscale si concretizza nel raggirare le leggi a proprio vantaggio al fine di ottenere indirettamente una diminuzione del prelievo fiscale.
Il fenomeno è preoccupante per almeno due ragioni. Da una parte, i Paesi da cui partono i capitali perdono una parte ingente di gettito fiscale; dall’altra, si verificano dirompenti effetti distorsivi del mercato.
Di seguito le nazioni che nel 2021 hanno registrato un più alto Corporate Tax Haven Index, un indicatore quali-quantitativo che misura per ogni Paese la capacità dell’assetto giuridico nel consentire alle multinazionali di eludere le imposte sulle società.
I profitti delle aziende
Nel 2016 si stimavano in circa 590 miliardi di euro i profitti delle multinazionali delocalizzati nei Paradisi fiscali. Quest’ultimi avrebbero permesso alle aziende di centrare un risparmio fiscale medio di circa il 10%. Tra i Paesi più colpiti da questo fenomeno ci sarebbero soprattutto quelli europei. La Germania avrebbe perso il 29% di entrate fiscali, la Francia il 24%, il Regno Unito il 21% e l’Italia il 19%. Fuori dall’Europa, i Paesi più penalizzati sarebbero gli Stati Uniti con il 17% e il Brasile il 10%.
Le multinazionali che spostano maggiori profitti nei paradisi fiscali, secondo le stime, sarebbero al 60% statunitensi; il trasferimento dei profitti avverrebbe verso Paradisi fiscali noti come le Isole Cayman, le Isole Vergini, Bermuda o la Svizzera, ma anche all’interno della stessa Unione Europea, specie in Irlanda, Lussemburgo e Paesi Bassi. Queste tre mete nel 2016 hanno sottratto circa 5,4 miliardi di euro al Fisco italiano.
In totale, circa 23 miliardi di euro di profitti delle multinazionali realizzati nel Bel Paese sarebbero stati spostati nei paradisi fiscali nel 2016; la perdita di gettito per il fisco italiano nel 2016 è stata di circa 7,3 miliardi di euro. Sommata ai mancati introiti dovuti all’evasione, tale cifra appare per il Bel Paese imponente.
I risparmi dei privati cittadini
Per quanto riguarda i risparmi privati, al 2016, la ricchezza offshore mondiale stimata dalla Commissione europea è di 7,5 trilioni di euro, circa il 10% del Pil mondiale dell’anno; quella detenuta da residenti dell’Unione Europea è stimata in 1,5 trilioni di euro. I conti offshore sono conti depositati presso banche con sede legale presso paradisi fiscali. Le banche di tali Paesi spesso non condividono i dati dei risparmiatori con i Paesi di origine nascondendosi dietro il diritto del segreto bancario.
A livello globale, l’aumento della ricchezza globale offshore negli anni 2010-2016 è stata guidata principalmente da Paesi non OCSE. In particolare, la Cina, da 90 miliardi di dollari nel 2001, sarebbe passata a 1,9 trilioni di dollari nel 2016.
I risparmi accumulati dai contribuenti italiani nei paradisi fiscali, al 2016, risulterebbero, secondo le stime della Commissione Europea, 142 miliardi di euro, una cifra pari all’8,1% del PIL del 2018.
Si pensi inoltre che tra i 142 miliardi sono considerati solo i depositi bancari (25%) e le attività di portafoglio (75%), ovvero la ricchezza liquida. Non sono compresi i beni immobili e mobili di valore, le assicurazioni sulla vita, i contanti o le cripto-valute. Ne deriva che tale cifra è di gran lunga più elevata.
Il mancato introito fiscale per l’Italia causato da questi depositi offshore è stato di ben 1,73 miliardi di euro nel 2016. Ciononostante, l’Italia risulterebbe al di sotto della media europea per quanto riguarda il rapporto tra soldi nascosti nei paradisi fiscali e PIL; la media UE28 è del 9,7% del Pil, mentre quella italiana dell’8,1%.
Ciononostante, l’Italia risulta il quarto Paese nell’UE28 per quantità di ricchezza accumulata nei depositi offshore. Al primo posto c’è la Germania con 331 miliardi di euro, al secondo la Francia con 277 miliardi, al terzo il Regno Unito con 218. Seguono Spagna, Belgio, Portogallo, Grecia, Olanda, Austria.
Cosa si è fatto per arginare il problema
Alcuni effetti del contrasto internazionale all’elusione fiscale sono stati registrati dal 2009, ma sono poi diminuiti tra il 2012 e il 2014. Nel 2015-2016 si è però registrata una nuova diminuzione a causa dell’entrata in vigore di nuove misure per combattere l’evasione fiscale, da parte della UE, degli USA, del G20 e dell’OCSE. Ad esempio, nel 2017, l’OCSE ha adottato il Common Reporting Standard, ovvero un sistema che permette di condividere automaticamente, tra 49 Paesi aderenti, dati e informazioni riguardanti conti esteri e attività finanziarie. Infine, a Luglio 2021, il G20 ha firmato un’intesa storica che dovrebbe portare all’istituzione di una tassa societaria minima globale pari al 15%.
Gli sforzi per ridurre il fenomeno sono stati considerevoli, ma insufficienti.
Alla base della complessità della battaglia al fenomeno ci sono varie dispute tra Stati. Ad esempio, nell’UE, i criteri adottati per giudicare se un Paese è considerabile paradiso fiscale sono spesso al centro di polemiche e critiche. Uno dei parametri per valutare un Paese è senz’altro la disponibilità nello scambiare informazioni con altre giurisdizioni, ma vi sono molti altri indicatori quali-quantitativi che potrebbero essere scelti e non sempre sono condivisi da tutti.
Partire dall’Unione Europea
Di certo, visto le numeriche sopracitate, si dovrebbe arrivare quanto prima ad una definizione univoca di paradiso fiscale, per lo meno all’interno dell’UE. Sarebbe auspicabile che tra Stati membri dell’UE il fenomeno della delocalizzazione offshore venga azzerato – sia da parte delle organizzazioni sia da parte dei privati – attraverso l’istituzione di una politica fiscale più omogenea tra gli Stati.
Se infatti è vero che l’Unione Europea ha armonizzato diversi aspetti della tassazione dei consumi e della raccolta dei capitali, forti differenze rimangono nella tassazione dei redditi; in particolare in quella dei redditi delle società. Olanda, Cipro, Malta, Ungheria, Lussemburgo, Irlanda e Belgio impongono regimi decisamente più accomodanti rispetto agli altri.
A tal proposito di seguito si prenda visione dell’eterogeneità delle aliquote imposte nei Paesi dell’Unione Europea sui redditi d’impresa. I dati si riferiscono alle aliquote di fine 2019.
TAKE AWAY
► Nel 2016 sono stati “delocalizzati” 23 miliardi di euro di profitti da aziende italiane. L’Italia ha perso circa 7,3 miliardi di gettito per tale motivo.
► I risparmi privati nascosti dai contribuenti italiani nei paradisi fiscali, al 2016, risultano circa 142 miliardi di euro. Il mancato introito fiscale per l’Italia causato da questi depositi offshore è stato nel 2016 di 1,7 miliardi di euro.
► Il trasferimento dei profitti e dei risparmi avviene verso Paradisi fiscali esteri noti, ma anche all’interno della stessa UE. Le politiche fiscali degli Stati UE sono difatti estremamente eterogenee e sarebbe auspicabile prevedere una maggiore convergenza.
Fonti:
– Thomas Tørsløv, Ludvig Wier, and Gabriel Zucman – The Missing Profits of Nations – Giugno 2018
– OCPI – L’Unione Europea e le eccessive differenze nella tassazione dei profitti tra paesi – Maggio 2020
– Corporate Tax Haven Index – 2021 Results – 2021
– Commissione Europea – Estimating International Tax Evasion by Individuals – Ottobre 2019