Morti ed infortuni sul lavoro in Italia

Ancora oggi il fenomeno degli infortuni e delle morti sul lavoro, le c.d. morti bianche, accompagna tragicamente lo sviluppo di molti Paesi europei, compresa l’Italia. Per molti anni, la mancata prevenzione nel settore della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro e gli effetti da essa derivanti, cioè morti, malattie e infortuni, sono andati di pari passo con la crescita economica e industriale europea. Per tale ragione, agli elevati livelli di benessere e qualità della vita raggiunti dai cittadini dell’Unione Europea, continua a contrapporsi il perpetrarsi nel tempo del fenomeno delle morti bianche.

I costi per rendere sicuro il luogo di lavoro, per molti politici e imprenditori, hanno rappresentato per molti decenni un freno all’incremento della crescita economica e dell’occupazione. Eppure, le morti ed infortuni sul lavoro di certo producono costi che incidono sui bilanci dei sistemi nazionali sanitari e di previdenza.

Negli ultimi anni la creazione di ambienti di lavoro più salubri e sicuri ha rappresentato maggiormente, nell’immaginario collettivo, un’opportunità per rendere il luogo di lavoro più produttivo, il dipendente più felice, l’azienda più attrattiva nei confronti del mercato del lavoro. Molto ancora deve essere fatto per sensibilizzare la popolazione in toto riguardo queste potenzialità, ma sono stati compiuti molti passi se si pensa alla situazione di partenza del secondo dopoguerra.

La difficoltà nel misurare e confrontare il fenomeno

Oltre alle questioni di carattere culturale, una delle maggiori problematiche riguardanti le piaga delle morti e degli infortuni sul lavoro – in Italia e non – è quella relativa alla misurazione del fenomeno:

  • quando si confrontano i dati tra Paesi, i tassi di incidenza sono difficili da interpretare. Di fatto, la probabilità di andare in contro ad un infortunio (fatale o non) è correlata all’attività lavorativa che il lavoratore svolge e il peso delle diverse attività economiche varia da un Paese all’altro a seconda della struttura di ciascuna economia.
  • un numero più alto di infortuni accertati sul lavoro – fatali e non – non indica per forza peggiori condizioni di sicurezza; può indicare, anzi, una maggiore propensione alla denuncia di taluni accadimenti e dunque paradossalmente una migliore tutela del lavoratore.
  • tra i vari infortunati, ammalati e morti sul lavoro, vi è una parte di lavoratori a nero difficile da stimare. Quest’ultimi, non godendo di certe tutele, sfuggono a ogni statistica.

Morti bianche in Europa

In Europa nel 2019, secondo l’EUROSTAT, sono stati accertati 3.408 morti sul lavoro (76 in più rispetto all’anno precedente). EUROSTAT considera solo i morti in occasione di lavoro e non i caduti “fuori dall’azienda” (ad es.: in itinere). Di seguito una panoramica sui morti sul lavoro ogni 100.000 occupati e in senso assoluto in Unione Europea nel 2019.

Come si può evincere dal grafico, l’Italia si colloca al di sopra della media UE27 (2,2) per numero dei deceduti sul lavoro sul totale degli occupati, con 2,6 morti ogni 100.000 occupati. Tra i Paesi più simili all’Italia per caratteristiche del mercato del lavoro, la Francia (4,8) e la Spagna (3,3) hanno registrato un dato più alto, la Germania (1,1) un dato più basso.

Tassi di incidenza particolarmente bassi, come già accennato, possono riflettere una situazione di sotto-denuncia degli eventi; parimenti, sistemi di riconoscimento consolidati e una legislazione sensibile all’argomento possono spesso spiegare gli alti indicatori di alcuni Paesi.

Anche se i dati non pongono il Bel Paese tra i peggiori della classe, indica un evidente divario tra l’Italia e i Paesi più virtuosi. La morte sul luogo di lavoro non è di certo una delle principali cause di morte in Italia, ma riguarda in larga misura un fenomeno evitabile, spesso connesso ad una scarsa cultura della prevenzione e della sicurezza.

Infortuni non fatali sul lavoro in Europa

Sul lato degli infortuni non fatali, in tutta Europa, nel 2019, ben 3,1 milioni di casi hanno comportato almeno quattro giorni di assenza sul lavoro. Il dato è stabile rispetto all’anno precedente.

I due terzi degli infortuni non fatali hanno riguardato uomini. I fattori che influenzano questa statistica sono vari: il tasso di occupazione di uomini e donne, i diversi tipi di lavoro che uomini e donne svolgono e la quantità di tempo trascorso al lavoro. Per esempio, ci sono molti più incidenti nei settori minerario, manifatturiero o delle costruzioni, che tendono ad essere dominati dagli uomini. Inoltre, gli uomini tendono a lavorare a tempo pieno, mentre è più probabile che le donne lavorino in modalità part-time.

Di seguito una panoramica degli infortunati sul lavoro ogni 100.000 occupati e in termini assoluti nel 2019 nei Paesi dell’Unione Europea.

L’Italia, con 1.238 infortuni ogni 100.000 occupati, ha registrato un tasso migliore della media in Unione Europea (1.603).

Settori più intaccati dal fenomeno in Europa

Nel 2019, più di un quinto (22,2%) di tutti gli incidenti mortali sul lavoro nell’UE è avvenuto all’interno del settore delle costruzioni, mentre il settore dei trasporti e del magazzinaggio (15%) ha avuto la quota successiva più alta; il settore manifatturiero (14,8%) e l’agricoltura, la silvicoltura e la pesca (12,5%).

Gli infortuni non mortali erano relativamente comuni all’interno del settore manifatturiero (18,7% del totale nell’UE nel 2019), del commercio all’ingrosso e al dettaglio (12,3%), delle costruzioni (11,8%) e della salute umana e delle attività di lavoro sociale (11%). Tra il 2010 e il 2019, in tutta l’UE, il numero di incidenti non mortali per 100.000 persone occupate è diminuito del 10,9% in tutte le attività.

Nell’UE, ci sono stati due tipi di lesioni particolarmente comuni nel 2019, ovvero ferite e lesioni superficiali (28,9% del totale) e lussazioni, distorsioni e stiramenti (26,2%), seguiti da altri due tipi relativamente comuni, ovvero commozione cerebrale e lesioni interne (18,8%) e fratture ossee (10,6%).

La situazione dell’Italia

Facendo un focus sulla realtà italiana, le denunce per infortunio dal 2016 al 2020 pervenute all’INAIL sono circa 630.000 in media all’anno; il 15% riguarda infortuni in itinere e l’85% infortuni sui luoghi di lavoro. Della totalità di denunce, dal 2016 al 2020, circa lo 0,2% è stata di infortunio con esito mortale. Le denunce di infortunio si registrano in particolar modo nell’industria metalmeccanica, nell’edilizia e nel settore dei trasporti e magazzini.

I dati INAIL sulle denunce del 2020 registrano, rispetto all’anno precedente, un calo in termini di infortuni non fatali (-11,4%) e un aumento di quelli fatali (+27,6%). Il dato è stato impattato fortemente dalla pandemia da Covid-19. Di seguito due serie storiche sulle denunce di infortuni non fatali e mortali pervenute all’INAIL dal 1951 al 2020. Dal 2008 al 2020 sono disponibili anche i dati riferibili agli accertamenti.

Fino al 2000 in Italia si è assistito ad un forte decremento sia degli infortuni, sia dei morti sul lavoro. Negli ultimi 20 anni i dati risultano piuttosto stazionari.

In media, dal 2016 al 2020, sono stati riconosciuti dall’INAIL 735 decessi sul luogo di lavoro a fronte di 1.274 denunce annuali. Il 57% delle denunce di infortunio mortale pervenute all’INAIL viene effettivamente “accertato” come decesso sul luogo di lavoro dall’ente previdenziale. Per quanto riguarda le denunce di infortuni non fatali, dal 2016 al 2020, annualmente, su circa 630.000 denunce, ne sono state accertate circa 413.500, ovvero il 66%.

Come è facilmente intuibile, le stime dell’INAIL riguardo gli infortuni e i morti sul lavoro risultano più basse rispetto a quelle elaborate da altri istituti.

Identificare il reale numero dei morti sul lavoro

L’Osservatorio Indipendente di Bologna sui caduti del lavoro ritiene che un alto numero di morti sul lavoro sfugga alle statistiche sul fenomeno, comprese le sue. Tale osservatorio include nei propri dati i lavoratori in nero, le morti non denunciate e una porzione di infortuni letali non accertati dall’INAIL. Secondo l’Osservatorio indipendente bolognese, il 2021 si sarebbe concluso con 1.404 lavoratori morti sul lavoro, di cui 695 sui luoghi di lavoro, 709 in itinere; un dato doppio rispetto a quello medio dell’INAIL.

Le categorie con più morti sul lavoro sono:

  • Agricoltura (30% di tutti i morti sui luoghi di lavoro), di cui il 75% sono stati schiacciati dal trattore e l’età varia dai 14 agli 88 anni;
  • Edilizia (15% dei morti), dove le morti sono provocate soprattutto da cadute dall’alto. In questa categoria sono moltissimi i morti tra i lavoratori in nero in questa categoria, soprattutto nelle regioni del Sud, ma non solo.
  • Autotrasporto (11% dei morti), in cui sono inseriti tutti i lavoratori che guidano un mezzo sulle strade e autostrade.

La Lombardia (con 78 morti), Campania (70), Toscana (55), Emilia Romagna e Piemonte (53) e Veneto (51) sono le regioni che hanno registrato più caduti sul lavoro nel 2021.

TAKE AWAY

► Al 2019, l’Italia risulta sopra la media UE per numero di morti sul lavoro sul totale degli occupati. Per infortuni sul luogo di lavoro, al di sotto. In entrambi i casi risulta lontana dai Paesi più virtuosi, localizzati per lo più nel Nord Europa.
► Dal 2016 al 2020, l’INAIL ha contato mediamente 630.000 denunce per infortunio sul lavoro, di cui 1.274 mortali; ha respinto il 43% delle denunce di infortunio con esito mortale e il 33% di quelle non fatali.
► Il numero reale di morti potrebbe essere il doppio rispetto a quello accertato dall’INAIL. Ciò si verifica perché l’INAIL non include nelle sue statistiche le morti non denunciate, i lavoratori in nero e, come detto, “accerta” solo una parte delle denunce.

Fonti:

EUROSTAT – Accidents at work statistics – Gennaio 2022
Osservatorio Indipendente di Bologna sui morti per lavoro – Marzo 2022
INAIL – Relazione annuale 2020 – Luglio 2021
Treccani – Morti bianche – 2008