Le guerre in corso

Il XX secolo, con lo spaventoso numero di vittime provocate da due guerre mondiali e vari genocidi, è stato spesso definito “il secolo più violento della storia”. Il XXI secolo, alla luce delle recenti tenzioni internazionali, sembra prefigurare scenari non meno inquietanti. Ucraina, ISIS, Gaza, Birmania, Ebola, sparatorie nelle scuole, stupri, femminicidi, poliziotti letali: chi può evitare la sensazione che in generale le cose stiano andando sempre peggio, che nel mondo ci siano sempre più guerre e brutalità in generale? Stando ai dati, non è il momento di essere così pessimisti.
La diminuzione della violenza
Di seguito è possibile osservare un grafico che ricapitola la percentuale di “grandi potenze” in guerra dal 1500 al 2020. Nel realizzare il grafico si è tenuto conto di più di 50 conflitti, dalla Guerra dei Trent’anni (1618-1648) alla Guerra dei Sette Anni (1755-1763), dalla Prima Guerra Mondiale (1914-1918) alla Guerra di Korea (1950-1953). I dati sono aggregati per 25 anni. Sotto il grafico è possibile osservare quali Paesi, regni o imperi sono stati considerati come “grande potenza” nel corso dei secoli.
Com’è possibile osservare, gli ultimi 500 anni di storia sono stato segnati da secoli di guerre. Ancora prima, in rapporto alla popolazione mondiale del tempo, le guerre tribali hanno causato quasi il decuplo dei morti delle guerre e dei genocidi del Novecento. Il tasso di omicidi nell’Europa medievale era oltre trenta volte quello attuale. Schiavitù, torture, pene atroci ed esecuzioni capitali per futili motivi sono state per millenni ordinaria amministrazione, salvo poi essere bandite dagli ordinamenti giuridici di tutte le nazioni democratiche.
Quanti morti per le guerre nel mondo
Focalizzandosi sulla storia più recente, emerge che il numero assoluto di morti in guerra è in forte calo dalla secondo dopoguerra. Prima di questo evento, non esistono dati certi. Da circa mezzo milione di persone morte all’anno a causa delle guerre, attualmente, il numero di morti annuali tende a essere inferiore a 100.000.
Il declino del numero assoluto di morti in battaglia è visibile nel grafico sotto riportato, che mostra i morti in battaglia in ogni anno per continente dal 1946 al 2020. Dal 1946, si sono registrati tre picchi significativi di morti in guerra: la guerra di Corea (inizio anni ’50), la guerra del Vietnam (intorno al 1970) e le guerre in Iran-Iraq e Afghanistan (anni ’80). Dal 2012 al 2017 si è registrato un aumento delle morti in battaglia a causa dei conflitti in Medio Oriente, in particolare in Siria, Iraq e Afghanistan. Mancano i dati relativi alla guerra in Ucraina, scoppiata nel 2022. I dati contano solo le morti violente dirette (escludendo quindi le morti per malattie o carestie).
Il grafico precedente mostra i numeri assoluti, ma dato che il mondo ha visto una rapida crescita della popolazione, è giusto osservare anche i numeri relativi. Sotto è possibile visualizzare un grafico relativo ai morti annuali in guerra per 100.000 abitanti, sempre dal 1946 al 2020. Le cifre sono mostrate per tipo di conflitto.
Anche relativizzando il numero per abitanti è possibile osservare una diminuzione drastica delle morti violente a causa di un conflitto dal 1946 in poi. Si è passati da un picco di oltre 23 morti per 100.000 persone a meno di 1.
Un numero maggiore di conflitti sempre meno mortali
Il grafico sottostante mostra che il numero di guerre in corso ogni anno dal 1946 al 2020 è aumentato. Questo aumento, tuttavia, riguarda solo i conflitti civili all’interno degli Stati. I conflitti legati all’espansione o alla difesa degli imperi coloniali sono terminati con la decolonizzazione. I conflitti tra Stati hanno quasi cessato di esistere.
Quello che è variato molto nel corso del tempo, come si è già visto, è il numero di vittime di guerra: assistiamo all’emergere di più conflitti e tensioni, ma sempre meno mortali. A titolo di esempio, mentre 1.200.000 persone sono morte durante la guerra di Corea (1950-1953), guerre più recenti raramente hanno riportato più di 10.000 vittime.
La Seconda Guerra Mondiale ha portato a un tasso di mortalità civile mondiale che si aggirava intorno ai 350 morti per 100.000 all’anno. Stalin e Mao hanno mantenuto il tasso globale tra i 75 e i 150 fino ai primi anni ’60, e da allora è andato diminuendo, anche se punteggiato da picchi di morte in Biafra (1966-1970, 200.000 morti), Sudan (1983-2002, 1 milione), Afghanistan (1978-2002, 1 milione), Indonesia (1965-1966, 500.000), Angola (1975-2002, 1 milione), Ruanda (1994, 500.000) e Bosnia (1992-1995, 200.000). Questi numeri, se paragonati a quelli di guerre più recenti, ad esempio in Iraq (2003-2014, 150.000 morti) e in Siria (2011-2014, 150.000), rendono l’idea di quanto la guerra abbia perso fortunatamente molto della sua forza distruttrice.
Cosa ha determinato il calo di guerre e violenza?
Secondo alcuni studiosi, ciò che ha determinato il calo della violenza è dovuto al generale trionfo di determinate virtù (empatia, autocontrollo, moralità e ragione) su alcune inclinazioni negative umane (predazione, vendetta, sadismo e ideologia). Molti collegano tali virtù alle istanze civilizzatrici su cui l’Occidente ha fondato la propria identità. Di certo, nel corso dei secoli, la quasi totalità dell’umanità ha compiuto numerosi passi da gigante. L’abolizione dei sacrifici umani, della schiavitù e delle torture e un incredibile sviluppo economico e tecnologico hanno permesso di aumentare incredibilmente le aspettative di vita e le condizioni medie di vita. Gran parte della popolazione mondiale sopravvive all’infanzia e al parto, va a scuola, vota nelle democrazie, vive senza malattie, ha sviluppato bisogni secondari e sopravvive fino alla vecchiaia.
Altri studiosi puntano l’attenzione sul cambio della natura dei conflitti. Se si pensa ad esempio alla guerra fredda, Russia e USA, non si sono mai incontrate sul campo di battaglia. Alcune categorie di violenza, come gli attacchi terroristici, sono drammi rumorosi ma (soprattutto al di fuori delle zone di guerra) uccidono un numero relativamente basso di persone.
La mutazione della natura delle guerre sarebbe connesso al cambio di prospettiva riguardo le motivazioni che spingono una nazione ad andare in guerra. Nel mondo moderno la ricchezza di una nazione non risiede solo più nella quantità di suolo o di popolazione a disposizione, ma è in gran parte rappresentata dalla conoscenza e dallo sviluppo tecnologico che quella nazione riesce a generare. Si parla di fattori immateriali che difficilmente possono essere “conquistati” con la forza.
Non tutti i mali sono stati eliminati
Agli occhi di alcuni critici, chi tende ad evidenziare il calo della violenza, diventa automaticamente difensore dello status quo, uno strenuo difensore del sistema socioeconomico globale attuale, basato sul capitalismo. Al di là delle ragioni che hanno garantito un calo così forte della violenza e delle sue connessioni con il sistema economico/valoriale, è certo che dal secondo dopoguerra il numero di guerre interstatali è crollato e non solo l’Occidente ha vissuto uno sviluppo economico senza precedenti.
Al contempo, non occorre dimenticare che non tutte i conflitti e i conseguenti morti sono stati eradicati. Anzi, come si è visto, il numero di guerre in corso aumenta e la storia, anche recente, ci insegna che si possono rivivere tristi momenti di ritorno alla violenza. Negli ultimi anni sono emersi almeno due trend preoccupanti:
- I gruppi islamici radicali sembrano una fazione rilevante delle parti in conflitto in Afghanistan, Pakistan, Israele/Gaza, Iraq, Nigeria, Siria e Yemen. Le guerre di stampo religioso sono pericolose, perché le fazioni estremiste hanno obiettivi massimalisti e rifiutano il compromesso: è improbabile che i principali meccanismi che hanno guidato la diminuzione del numero di guerre nei decenni precedenti – accordi negoziati e programmi di peacekeeping e peacebuilding – riescano a porre fine a questi conflitti facilmente.
- Dal 2022, il mondo inoltre assiste inorridito ad una nuova guerra tra Ucraina e Russia, dopo il conflitto del 2014 e molti analisti vedono nell’aggressione russa l’eco di una forte spinta sovranista di matrice imperialista. Tali motivazioni, come ribadito poc’anzi, risultano alquanto anacronistici e non erano alla base di conflitti rilevanti da vari decenni.
Le guerre in corso a livello globale
Nella mappa sottostante è possibile visualizzare dove si stanno verificando le guerre e le tensioni più importanti ad inizio 2022. Com’è possibile osservare dalla mappa, in Europa e America Settentrionale troviamo una situazione di pace, mentre in Africa, Medio Oriente e Asia abbondano le situazioni conflittuali.
Alcune tra le guerre indicate sono estremamente letali (nella Repubblica Democratica del Congo dal 1999 si contano più di 5 milioni di morti), altre sono connesse a meri interessi economici (come la guerra connessa allo spaccio di droga in Messico, che ha fatto registrare più di 350.000 morti dal 2006), altre sono scaturite per motivi religiosi o settari.
Alcuni conflitti sono attivi da molto tempo, come il conflitto Israele-Palestina (dal 1948), la guerra interna del Myanmar (dal 1948) o la Guerra del Kashmir tra India e Pakistan (dal 1947); altri risultano più recenti, come la guerra jihadista di Cabo Delgado nel Mozambico (dal 2017) o la guerra tra Russia e Ucraina, scoppiata nella prima parte del 2022.
In alcuni casi non si parla di vera e propria guerra, ma di conflitti interni o interstatali così accesi da creare una forte instabilità politica e dunque una lunga striscia di morti. Si pensi alla crisi in Camerun (dal 2017) o a quella libica (dal 2011). Infine, altri conflitti, come quello in Afghanistan (Paese in guerra dal 1971), sono in fase calante, ma comunque presentano situazione instabili, che si trascineranno per numerosi anni.
Il dispiegamento dell’esercito italiano
L’esercito italiano non si occupa solo di assicurare la difesa dello Stato, ma contribuisce anche alle finalità delle organizzazioni internazionali (ONU, NATO, UE in primis) di cui l’Italia fa parte. Delle circa 90.000 unità di cui è composto l’esercito italiano, nel 2021, 19.085 unità sono state dispiegate attivamente. Di queste:
- 8.718 sono forze in prontezza: 4.259 all’interno dell’operazione “NATO readiness iniative”, 1.959 per pubbliche calamità, 1.019 nella “NATO Response Force”, 550 nella “Over the Horizon Force”, 535 nella “Land Reserve Force”, 216 per “Emergenza migranti”, 180 per la “NATO Balistic Missile Defence”;
- 7.230 sono state impiegate sul territorio nazionale all’interno dell’operazione strade sicure (90%) e delle operazioni IGEA/EOS/ATHENA (10%). Mentre la prima ha come obiettivo la vigilanza dei siti e obiettivi sensibili, le restanti rientrano nella strategia di controllo del Covid-19 in supporto al Ministero della Salute (in particolare somministrazione di test, ricezione, smistamento, distribuzione e somministrazione dei vaccini anti Covid-19…);
- 3.137 sono impiegate internazionalmente in 20 diverse operazioni: 753 (il 24%) in Europa (Lettonia, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Mediterraneo), 1.498 (48%) in Asia (Afghanistan, Libano, Iraq-Kuwait, India-Pakistan), 886 (il 28%) in Africa (Libia, Sahara Occidentale, Mali, Niger, Rep. Centro Africana, Somalia e Gibuti.
Quello in cui viviamo non è né il peggiore né il migliore dei mondi possibili
Semmai questo giorno arriverà, prima che le guerre e le violenze in generale spariscano dalla terra, occorrerà attendere ancora secoli… Fino a quel momento, solo facendo un conteggio sistematico delle guerre e dei morti in guerra e tracciando un grafico nel tempo si potrà giungere a una conclusione solida sulle tendenze globali. Anche se sembra stonare con la narrazione di molti media, la situazione globale sta migliorando. Le guerre e i tipi di violenza a cui la maggior parte delle persone è vulnerabile – omicidi, stupri, maltrattamenti, abusi sui minori – sono in costante declino nella maggior parte del mondo. Le guerre tra Stati, di gran lunga le più distruttive di tutti i conflitti, sono pressoché obsolete.
Molto della nostra impressione del mondo deriva da una formula fuorviante di narrazione giornalistica. I media danno spesso ampio spazio agli spari, alle esplosioni e ai video virali, ignari di quanto siano rappresentativi. Eppure, un’analisi dello stato dell’arte basata sull’evidenza statistica e su uno sguardo al passato porterebbe maggiori benefici. Calibrerebbe le risposte nazionali e internazionali in base all’entità dei pericoli. Limiterebbe l’influenza di terroristi, tiratori di scuole, altri impresari della violenza. Aiuterebbe a lavorare efficacemente affinché anche gli ultimi – non poco numerosi e gravi – rigurgiti di odio vengano stoppati con fermezza.
TAKE AWAY
► Dal secondo dopoguerra in poi il numero dei morti a causa di guerre è diminuito globalmente in termini assoluti e relativi sulla popolazione. Tale conclusione, supportata da numerose evidenze, cozza con la narrazione di molti media che fanno del sensazionalismo il loro principale business.
► Se si guarda al passato, recente e non, si nota che la violenza connessa ai conflitti armati è dunque in forte declino e le motivazioni che hanno portato a tale calo sono le più disparate. D’altro canto, il numero dei conflitti – sempre meno mortali – è in aumento. Non si deve abbassare la guardia sulle guerre in corso che comunque rimangono numerose e, in alcuni casi, estremamente letali.
► L’esercito italiano partecipa a numerose missioni internazionali, facendo parte dell’ONU, della NATO e dell’UE. Dispiega, al di fuori dei confini, oltre 3.000 persone in prima linea e quasi 9.000 in prontezza.
Fonti:
– ilSole24Ore – Tutti i conflitti del mondo in una infografica – Ottobre 2021
– Our world in Data – War and Peace – 2022
– Ministero della Difesa – Rapporto Esercito 2021 – Gennaio 2022
– ACLED – Acled Dashboard – 2022
– Steven Pinker – Il declino della violenza. Perché quella che stiamo vivendo è probabilmente l’epoca più pacifica della storia – 2013
– Yuval Noah Harari – Sapiens. La nascita dell’umanità – 2011