Digital transformation

Per digital transformation (o transizione digitale) si intende un processo di trasformazione tecnologica che riguarda trasversalmente il tessuto sociale, in Italia e nel mondo. Al centro del processo vi sono le tecnologie, ma quest’ultime generano impatti culturali importanti nella vita di ognuno di noi. La trasformazione digitale ha difatti rivoluzionato qualsiasi mercato e azienda, operante nell’erogazione dei servizi o nella manifattura di beni materiali. Ha cambiato il modo di acquistare, di rapportarsi con gli altri, di vivere. Pertanto, non si può parlare di digital transformation senza parlare di una vera e propria rivoluzione industriale. Nel mondo Occidentale fino a pochi anni fa venivano riconosciute tre Rivoluzioni Industriali:

  • La prima (dal 1750 al 1830) che, grazie all’invenzione della macchina a vapore, ha permesso di industrializzare la produzione nel settore tessile e metallurgico;
  • La seconda (dal 1850 al 1914) che, grazie alla scoperta dell’elettricità, di alcuni prodotti chimici e del motore a scoppio, ha rivoluzionato il mondo delle fonti energetiche;
  • La terza (dal 1970 al 2000) che, grazie alla nascita dell’informatica, ha contribuito alla diffusione di calcolatori e alla conseguente automazione di molti processi.

Tra il 2011 e il 2016 è stato introdotto un nuovo concetto, quello di Quarta Rivoluzione Industriale. Tale rivoluzione nasce da un diverso utilizzo degli strumenti nati – e migliorati esponenzialmente – nella Terza Rivoluzione Industriale. In sostanza, nasce grazie al processo di digitalizzazione di moltissimi aspetti della vita quotidiana.

La Quarta Rivoluzione Industriale

Il perno che ruota intorno alla Quarta Rivoluzione Industriale è la collaborazione intelligente tra macchine, essere umani e calcolatori. Si fa dunque spesso riferimento:

  • da un punto di vista produttivo, all’utilizzo di sistemi integrati che collegano tutte le componenti tecnologiche di una linea di produzione con i software che adoperano tutti i team aziendali;
  • da un punto di vista quotidiano, all’Internet delle Cose (o Internet of things), ovvero all’estensione di Internet al mondo degli oggetti che ci circondano quotidianamente (auto, orologi, scarpe, termostati, lampioni, bollettini postali…).

Digital transformation e Quarta Rivoluzione Industriale sono dunque concetti che si intersecano. Quest’ultima fa perno sui big data, una mole di dati di tali dimensione, da richiedere tecnologie particolarmente avanzate per poter essere decifrata. Anche per tale motivo, le aziende si stanno dotando di software e database in grado di produrre e immagazzinare enormi quantità di dati, di sistemi di sicurezza informatici sempre più aggiornati e di potenti strumenti di business intelligence, ovvero di piattaforme informatiche in grado di normalizzare e manipolare intelligentemente ingenti quantità di dati. Allo stesso tempo, questo è il motivo per cui anche i computer e gli smartphone che quotidianamente usiamo sono sempre più potenti.

Gli effetti della transizione digitale in Italia e nel mondo

La Quarta Rivoluzione Industriale porterà numerosi benefici in termini di produttività. A parità di input, le imprese saranno in grado di produrre più output e di migliorarne la qualità. La società di consulenza McKinsey stima che la sola Europa potrebbe aumentare il proprio PIL di 3.600 miliardi di euro entro il 2030 grazie all’innovazione tecnologica. Gran parte del boom sarà legato allo sviluppo dell’Intelligenza Artificiale.
Allo stesso tempo, come in tutte le precedenti rivoluzioni, vi saranno anche aspetti negativi. Gli effetti di una rivoluzione tecnologica così profonda sono e saranno dirompenti:

  • moltissime figure professionali sono destinate a scomparire, specie nel campo dell’amministrazione e della produzione. Si perderanno gran parte delle figure meno specializzate. D’altro canto, si creerà una forte domanda di nuovi tipi di professionalità. In particolare, vi sarà forte richiesta nella finanza, nel management, nell’informatica, nell’ingegneria. McKinsey stima che, entro il 2030, in Europa, potrebbero essere creati 62 milioni di nuovi posti full-time legati all’innovazione tecnologica;
  • in un mondo sempre più digitalizzato, le soft skills, ovvero le competenze non propriamente tecniche diventeranno fondamentali. In particolare la capacità di gestire problemi complessi, di lavorare in team, di ripartire il proprio tempo in maniera efficace ed efficiente saranno cruciali. Ciò presuppone un cambiamento radicale dei programmi scolastici finora erogati;
  • il mercato del lavoro per come lo abbiamo conosciuto nel XX secolo, cambierà radicalmente soprattutto da due punti di vista. La flessibilità del job market aumenterà sempre più: all’interno della stessa impresa i lavoratori cambieranno costantemente il proprio ruolo e si osserverà sempre più il passaggio da un’impresa all’altra. Inoltre, assumeranno un ruolo fondamentale strumenti quali lo smart working, facilitati da strumenti informatici, ormai alla portata di tutte le organizzazioni.

Di fatto, sarà richiesto ai lavoratori che compongono il mercato del lavoro, di cambiare modo di lavorare ed aprirsi a nuove sfide. Anche quando non sarà richiesto un vero e proprio cambio di ruolo, il lavoratore medio dovrà sviluppare una flessibilità e un’apertura mentale tali da assorbire la conoscenza necessaria (il c.d. know-how) per cavalcare il processo di digital transformation.

In Italia un processo lento, realizzato in piccola parte

In Italia, nazione ad alta vocazione manifatturiera (per approfondire, puoi leggere l’articolo sulla struttura dell’economia italiana), sono state promulgate normative per gestire la transizione verso la Quarta Rivoluzione Industriale. Come in altre economie avanzate, si è dunque provato ad incentivare l’innovazione e a minimizzare gli impatti negativi sul mondo del lavoro. Nei prossimi anni, si punta ad avere un maggior numero di dottorati di ricerca, studenti universitari, studenti iscritti a Istituti Tecnici e manager specializzati su temi I4.0 (Industria 4.0).

Nonostante alcuni risultati positivi e i buoni propositi dei Governi, molto deve essere ancora fatto per convertire l’intero sistema produttivo e formativo alle nuove tecnologie. La Pubblica Amministrazione non è ancora riuscita a digitalizzare gran parte dei processi. Vi è una forte resistenza culturale esercitata da una parte della popolazione: una grande componente della società soffre di analfabetismo digitale. Infine, non esiste un ecosistema di start-up e incubatori assimilabile a quello di altri Paesi sviluppati. In questa ottica, investire più risorse pubbliche nel sistema educativo diventa una scelta strategica irrinunciabile nel lungo periodo.

Transizione digitale in Italia e Unione Europea

Poiché l’Italia è la terza economia dell’UE per dimensioni, i progressi che essa compirà nei prossimi anni nella trasformazione digitale saranno cruciali per consentire all’intera UE di conseguire gli obiettivi del decennio digitale per il 2030. Di seguito un grafico che evidenzia l’indice di digitalizzazione dell’economia e della società (DESI) dei Paesi dell’Unione Europea nel 2022; l’Italia si colloca al 18º posto fra i 27 Stati membri dell’UE.

Per quanto riguarda il capitale umano, l’Italia si colloca al 25º posto su 27 paesi dell’UE. Solo il 46 % delle persone possiede perlomeno competenze digitali di base, un dato al di sotto della media UE pari al 54 %. Il Paese ha una percentuale molto bassa di laureati nel settore ICT: solo l’1,4 % dei laureati italiani sceglie discipline ICT, il dato più basso registrato nell’UE. Nel mercato del lavoro la percentuale di specialisti ICT è pari al 3,8 % dell’occupazione totale, ancora al di sotto della media UE (4,5 %).

Per quanto riguarda la connettività, l’Italia si colloca al 7º posto tra gli Stati membri dell’UE. Tra il 2021 e il 2022, la copertura 5G che è passata dall’8 % al 99,7 % delle zone abitate. Il governo ha indetto gare d’appalto pubbliche per promuovere lo sviluppo della connettività fissa Gigabit e della copertura mobile 5G nelle aree a fallimento di mercato; ha inoltre varato un regime di voucher dedicato alle piccole e medie imprese, con una dotazione totale di oltre 600 milioni di EUR, che agevola l’attivazione delle connessioni internet a banda larga da 30 Mbps a più di 1 Gbps con una larghezza di banda minima garantita.

Per quanto riguarda l’integrazione delle tecnologie digitali, il Bel Paese si colloca all’8º posto nell’UE. La maggior parte delle PMI italiane ha perlomeno un livello base di intensità digitale (60 %, ben al di sopra della media UE del 55 %). La diffusione di altre tecnologie cruciali più complesse come i big data e l’intelligenza artificiale è ancora alquanto limitata.

Per quanto riguarda i servizi pubblici digitali, l’Italia si colloca al 19º posto nell’UE. Nonostante i continui progressi, solo il 40 % degli utenti italiani di internet ricorre ai servizi pubblici digitali, un dato ben al di sotto della media UE del 65 %. Nel 2021 e nel 2022 ci sono stati vari sviluppi per quanto riguarda la digitalizzazione della pubblica amministrazione e dei servizi pubblici, a partire dalla pubblicazione della “Strategia Cloud Italia”. Nel 2022 è stata completata l’Anagrafe nazionale della popolazione residente (ANPR). La diffusione dell’identità digitale (“SPID” e “CIE”) e dell’app “IO” (l’applicazione mobile che dà accesso ai servizi pubblici digitali) è costantemente aumentata. È necessario proseguire negli sforzi già intrapresi per consentire all’Italia di
realizzare l’obiettivo del decennio digitale relativo alla disponibilità online del 100 % dei servizi pubblici principali per le imprese e i cittadini dell’Unione, e di rendere pienamente operativi i fascicoli sanitari elettronici.

Digitale e aziende italiane

Di seguito un grafico che evidenzia i principali indicatori della transizione digitale in Italia tra le imprese con almeno 10 addetti e le imprese con almeno 250 addetti nel 2022.

Nel 2022 il 69,9% delle piccole e medie imprese (PMI) adotta almeno 4 attività digitali su 12 (69,1% in UE). Con riferimento ai 12 indicatori per classe di addetti, i divari maggiori si riscontrano, a scapito delle PMI (imprese con 10-249 addetti), nella presenza di specialisti ICT, nella decisione di investire in formazione ICT nel corso dell’anno precedente, nell’uso di riunioni online e di documentazione specializzata sulle regole e le misure da seguire sulla sicurezza informatica.

In generale, le imprese italiane usano sempre di più il web. Rispetto al 2019 la quota di PMI nelle quali nell’anno 2022 più del 50% degli addetti hanno accesso a Internet per scopi lavorativi è aumentata quasi del 23%, eguagliando i tassi di crescita delle grandi imprese (passando rispettivamente dal 40% al 49% e dal 47% al 58%). La banda larga fissa con velocità almeno pari a 30 Mbit/s risulta utilizzata dall’82,8% delle imprese 10+ contro il 96,1% di quelle più grandi.

Rimangono stabili rispetto al 2020 l’adozione di robotica e l’impiego di specialisti ICT. Le imprese con più di 10 addetti che usano robot sono l’8,7% (6,3% la media UE). Le imprese con più di 10 addetti che impiegano specialisti ICT sono il 13,4% (21% la media UE).

Nel 2022 il 13,0% delle PMI ha effettuato vendite online per almeno l’1% del fatturato totale (12,7% nel 2021) e il 17,7% delle PMI attivo nell’e-commerce ha realizzato online il 13,5% dei ricavi totali. In generale, il 18,3% delle imprese con almeno 10 addetti ha effettuato vendite online fatturando il 17,8% del fatturato totale, rispettivamente 22,8% e 17,6% a livello UE.

Nel 2022 il 15,7% (10,1% nel 2019) delle imprese con almeno 10 addetti e il 33,1% delle imprese con almeno 250 addetti (21,7% nel 2019) hanno dichiarato di aver avuto nel corso dell’anno precedente almeno un attacco o intrusione informatica dall’esterno. Il 74,4% delle imprese italiane con almeno 10 addetti utilizza almeno tre misure di sicurezza ICT, in linea con la media europea (74,0%). Si registra una forte diffusione di misure di sicurezza meno sofisticate, come l’autenticazione
con password forte (83,9%, 82,2% nel 2019) e il back-up dei dati (80,0%, 79,2% nel 2019). Più basse le quote di imprese che adottano misure di sicurezza avanzate.

L’Italia, preceduta solo dal Portogallo, è in vetta alla classifica europea sulla sostenibilità ambientale applicata all’uso di strumenti informatici. Il 74,9% delle imprese adotta comportamenti green nella scelta della tecnologia valutandone anche l’impatto ambientale; inoltre, il 59,9% delle imprese combina la valutazione dell’impatto ambientale dei servizi o delle apparecchiature ICT, prima di selezionarli, con l’adozione di misure che incidono sul consumo di carta o di energia delle tecnologie informatiche.

Come sfruttare al meglio la transizione digitale in Italia

La pandemia globale che ha colpito il Bel Paese nel 2020, da molti punti di vista potrebbe trasformarsi in un’importante opportunità da cogliere. Di fatto, la situazione emergenziale in Italia ha spinto molte aziende e la stessa PA ad investire maggiormente nella transizione digitale. Smart working e programmi di messaggistica istantanea sono diventati la normalità per la maggior parte delle imprese; il Governo ha iniziato a creare numerose app per gestire il rapporto tra cittadini e PA. Anche le realtà aziendali più piccole stanno capendo l’importanza di strutturare processi digitali.

Il piano di ripresa e resilienza dell’Italia, piano previsto per rilanciare il Paese dopo la pandemia da Covid-19, è il più cospicuo dell’intera Unione europea: ammonta a 191,5 miliardi di euro e ben il 25,1 % di tale importo (ossia 48 miliardi di EUR) è destinato alla transizione digitale.

Certamente, l’andamento demografico italiano e il continuo invecchiamento della popolazione non aiuteranno a centrare questa trasformazione nel breve termine. Ciononostante, i vantaggi economici e sociali che si trarrebbero dalla realizzazione di questa transizione, ad esempio in termini di fintech, sono troppo positivi per non investire gran parte delle energie del Paese in questa direzione.

TAKE AWAY

► La trasformazione digitale è un processo che ha dato il via ad una vera e propria Rivoluzione Industriale.
► La rivoluzione in ambito tecnologico ha generato forti impatti sociali e culturali. Vi sono impatti positivi, ma anche negativi. Quest’ultimi debbono essere mitigati nella fase di transizione.
► L’Italia, economia ad alta vocazione manifatturiera, sta cercando di cogliere l’opportunità. Al momento sembra indietro rispetto ad altri Paesi leader, ma il periodo post-pandemia da Covid-19 potrebbe rappresentare un’opportunità per realizzare un serio piano di transizione digitale.

Fonti:

ISTAT – Imprese e ITC – Gennaio 2023
Commissione Europea – The Digital Economy and Society Index – Gennaio 2023
McKinsey Insight – Digital adoption through COVID-19 and beyond – Maggio 2020
McKinsey Insight – Reviving innovation in Europe – Ottobre 2019
World Economic Forum – The future of Jobs – Settembre 2018
MISE – Piano Nazionale Impresa 4.0 – 2018
Martin Ford – Architects of Intelligence – Novembre 2018